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LE CLASSIFICAZIOI INTERNAZIONALI DELLA DISABILITÀ: ICD, ICIDH E ICF.

Di Federica

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha trovato la necessità di sviluppare strumenti in grado di classificare patologie organiche, psichiche e comportamentali, al fine di migliorare la qualità e la diagnosi di tali patologie.

L’ICD

La prima è stata elaborata nel 1970 e viene denominata “International Classification of Diseases” (ICD). Essa rispondeva all’esigenza di evidenziare la causa delle patologie, dando ad ogni sindrome o disturbo una descrizione delle sue principali caratteristiche.

Le diagnosi delle malattie venivano poi tradotte in codici che rendevano possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati.

L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione. Ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione, in grado di focalizzare l’attenzione anche sulle loro conseguenze. Per questo venne sviluppata la Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap (ICIDH).

L’ICIDH

L’ICIDH non coglie la causa della patologia, ma l’importanza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni. Con l’ICIDH non si parte più dal concetto di malattia inteso come menomazione, ma dal concetto di salute, inteso come benessere fisico, mentale, relazionale e sociale che riguarda l’individuo, la sua globalità e l’interazione con l’ambiente.

L’ICIDH è caratterizzato da tre componenti fondamentali, attraverso le quali vengono analizzate a valutate le conseguenze delle malattie:

  • la menomazione, come danno organico e/o funzionale;
  • la disabilità, come perdita di capacità operative subentrate nella persona a causa della menomazione;
  • lo svantaggio (handicap), come difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante.

L’OMS ha dichiarato l’importanza di utilizzare ICD e L’ICIDH in maniera complementare, favorendo l’analisi e la comprensione delle condizioni di salute dell’individuo in una prospettiva più ampia.

L’ICF

La presenza di limiti concettuali ha portato l’OMS ad elaborare un ulteriore strumento, la Classificazione Internazionale del funzionamento e delle disabilità (ICF). Nel 2001, dopo un lavoro iniziato nel 1993, l’OMS idealizza uno strumento di classificazione innovativo, multidisciplinare e dall’approccio universale, accettato da 191 paesi.

Il concetto di handicap sparisce e l’approccio alla disabilità viene totalmente modificato. Con l’ICF tutto ruota attorno al principio di funzionamento, ossia attorno alle capacità che l’individuo ha nel proprio agire. In secondo luogo l’ICF prende in considerazione l’aspetto sociale dell’individuo.

Questa prospettiva serve a farci capire che potenzialmente qualunque individuo può essere disabile in qualunque momento della sua vita. Alla base di questo concetto non c’è più distinzione tra disabile e non.

L’ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo). Questo avviene al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità.

L’ICF vuole fornire un’ampia analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute e ambiente, arrivando alla definizione di disabilità, intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. L’analisi delle varie dimensioni esistenziali dell’individuo porta a evidenziare non solo come le persone convivono con la loro patologia, ma anche cosa è possibile fare per migliorare la qualità della loro vita. La persona, quindi, non è più vista in rapporto al suo deficit funzionale e sociale, ma in base ad un concetto di salute dove la patologia è solo una delle variabili, poiché vanno analizzate i diversi fattori che causano difficoltà.

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